
Esattamente otto anni fa ho avuto l'ardire di commettere l’errore più grande di tutta la mia vita: ho messo il mio culo su un aereo, lasciando Londra per sempre.
17 ottobre 2009.
Se solo poteste vedere la mia faccia mentre scrivo capireste l'entità del danno.
Sì. Tutt’oggi mi pento di quella decisione fortemente insana, insensata e deplorevole. Ho trascorso ogni dannato giorno di questi otto anni maledicendomi e indagando le ragioni di questa ridicola scelta. Ad oggi una risposta c'è ed è anche abbastanza semplice: a Londra non stavo bene con me stessa. Soltanto recentemente ho compreso come io non stia bene con me stessa da nessuna parte. Quindi, tanto valeva rimanere là.
Ho amato Londra, ed ancora la amo, probabilmente più di quanto io ami ciò che sono. Ma in quel periodo la mia famiglia ed i miei amici mi mancavano; ed il mio lavoro, che non era tra i migliori ma nemmeno tra i peggiori, non soddisfaceva le mie grandi, forse troppo grandi, aspettative. Quindi il nocciolo della questione è esattamente qui: le aspettative che nutro nei miei confronti e di conseguenza verso il mondo che mi circonda (che puntualmente sopravvaluto).
Non mi piacciono le etichette e non ne ho mai incollata mezza ad alcun essere umano: non dico mai “Hey, questa è mia mamma!” Dico sempre: “Questa è Mariapia.” E soltanto dopo aggiungo: “Lei è mia madre.”
Detesto i ruoli e ancora di più confonderli con le persone: vengono fuori dei puttanai memorabili che poi per ricomporli ce ne vuole uno bravo che, visto l'andazzo generale, forse nemmeno esiste. Ed in ogni caso un creativo, per giunta donna, non potrebbe permetterselo.
Ma se dovessi cucirmi addosso un'etichetta, sceglierei "wi(l)dely creative”, che è un po’ difficile da tradurre. Gioca tra “wide” ossia ampiamente e “wild” ossia selvaggio. Per “creative” mi auguro non vi sia bisogno di una traduzione.
Sono una art director, una graphic designer, una fotografa, una illustratrice ed una scrittrice: e credetemi, non ho ancora capito se sapere fare tutte queste cose sia un bene o un male. Mi è difficile, nuovamente, essere costretta in un ruolo definito: in generale e anche lavorativamente parlando. Il pensiero di trascorrere otto ore, nello stesso posto, tutti i giorni che Iddio manda in terra, con le stesse persone, a fare le stesse cose, mi toglie un pochino il fiato. Ma qualcuno quel dannato affitto lo dovrà pur pagare, quindi c'è poco da fare gli scemi.
Sempre per la psicoanalisi domestica di cui sopra, visto che uno serio non me lo posso permettere, ho intuito una cosa: credo di avere una dipendenza dalle sfide. E come logica conseguenza della legge di attrazione, sembra che la vita assecondi in ogni suo accadere questa mia assuefazione.
Non solo: è anche difficile fare comprendere la multidisciplinarietà. Perché poi chi ti offre un lavoro, ovviamente sempre precario e sottopagato, non sa bene dove metterti: manco fossi un soprammobile da coordinare con l'arredamento.
Tornando a me, quando sentivo emergere con veemenza quel sentimento di prigionia, mi sentivo sbagliata: credevo ci fosse qualcosa che non andasse in me. Quarant'anni compiuti da poco servono anche a comprendere come in verità non ci sia niente di inadeguato in me: apprendo molto velocemente ed altrettanto velocemente mi annoio. Ho bisogno di imparare e scoprire qualcosa di nuovo ogni giorno, per crescere ed affinare la forza dello sguardo che poso sul mondo che mi circonda. Perché di quel mondo io mi nutro. E smetterò di farlo soltanto quando sarò morta (o forse nemmeno in quell’occasione).
Il mio, e quello di molti altri creativi, è un cammino molto duro e a tratti difficile. Ma sono fatta così: ed ho imparato ad accettarlo.
Sono felice di inaugurare questo blog nuovo di pacchia (è un gioco di parole anche questo) in quello stesso giorno che se solo potessi, cancellerei volentieri dal calendario e dalla storia della Terra. In fondo, è un po’ come riprendere le fila di qualcosa che ho amato e che forse, in un certo senso, ho lasciato troppo presto. Qualcosa che è rimasto lì a fissarmi per otto anni e che altro non aspettava se non il mio ritorno: ma questa volta senza incertezze. Ci vuole un coraggio spregiudicato per narrare se stessi.
In ogni caso, in questi otto anni, l’unica consolazione in merito a quell’errore così grezzo e grossolano datato ottobre 2009, è stato pensare che in fondo mi ero svangata la cazzata più grossa della mia vita: tutti ne dobbiamo commettere una ed in un certo senso me l’ero tolta di mezzo. Sarebbe stato difficile cannare ancora in maniera così connotata. Il futuro sarebbe stato in discesa ed io sarei stata salva ed al sicuro!
Bene.
Ovviamente mi sbagliavo ancora. ❤
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