
La morte ci ha travolti, abbattuti e storditi come uno schiaffo sordo.
Un caro amico, una manciata di giorni fa si è tolto la vita, catapultandoci senza mediazione in un incubo nero che odora troppo densamente di vuoto. La sua incontrovertibile ed inappellabile decisione riecheggia nelle nostre vite con una sorda risonanza che invade e travolge come marea, tutte le sostanze di cui siamo fatti.
Non colgo sguardo che non sia smarrito, vitreo ed incredulo su quel silenzioso quanto letale ordigno esplosivo che ha scatenato una serie di domande alle quali stiamo cercando di dare una risposta. Una detonazione silenziosa ha aperto uno squarcio affilato e feroce su una realtà così sincera da prendere lo stomaco come un urto di vomito e stritolare la nuca in una morsa di gelo. Una realtà che in questo momento non ha più bisogno di travestirsi di scuse logore, ma necessita soltanto di accettazione e di comprensione.
Abbiamo tutti bisogno di risposte e pretesti, ciascuno per ragioni diverse: dobbiamo collocare l'accaduto e noi stessi al sicuro.
Ognuno reagisce assecondando il proprio mondo. Chi si chiede se questo potesse essere in qualche modo evitato. Chi si domanda se ci fossero state delle avvisaglie. Chi cerca colpevoli posando sguardi e puntando dita accusatorie. Chi rimane spiazzato pensando, nonostante il legame stretto, di non avere mai compreso nulla di lui. Chi non vuole credere che sia accaduto veramente, aggrappandosi a evanescenti lembi di speranza. Chi ricompone e ricuce pezzi frammentari creando narrazioni parallele dall'aspetto sdrucito, che diano un’altra versione della storia poco plausibile, nel tentativo di dare un senso e una versione più accettabili a ciò che è stato.
Ma il tempo dei pretesti è stato reciso con ineluttabile risolutezza.
Ripenso ad ogni tuo congedo sigillato da un sapore di incompiuto. Sembrava sempre volessi dire qualcosa che poi tacevi: mi chiedo quanto questo sia un mio vizio di interpretazione postumo o se veramente tu non abbia mai trovato parole che vestissero adeguatamente i tuoi pensieri.
Lo sguardo oscilla danzante su tutto quello che sta accadendo: su tutti i demoni che sei andato a stanare, uno per uno. La scelta di porre fine ad un dolore che apparentemente sembra avere vinto, ci ha posto di fronte a tutti i nostri limiti di relazione.
Ci hai lasciato una cascata di interrogativi profondi: si inseguono come ballerine leggere ed eleganti che sfiorano l'incarnato algido, in una danza coreografica sfuggente. E' un mistero etereo. Cerchiamo la soluzione nel travestimento dell’assoluzione per fare tacere sensi di colpa che emergono dalla terra come creature alla ricerca di ossigeno. Fenditure nel terreno che si affacciano su un inferno da riempire con qualsiasi cosa pur di non cascarci dentro. Siamo alla ricerca di una verità insostenibile o di un appiglio da afferrare per non perdere i nostri orizzonti artificiali?
Credo che per togliersi la vita ci vogliano un coraggio e stanchezza estremi. Per chi ti conosceva è difficile ora comprendere: sembra un ossimoro assurdo, ma è così.
Hai preso le distanze da un posto che non sentivi più tuo, e che forse non hai mai sentito tale. Non c'è stato un giorno in cui io non ti abbia pensato. In te rivedo molte cose che mi rispecchiano: non è frutto del senno di poi. Le ho sempre colte e mille volte avrei voluto dirti che le acque in cui navigavi e di cui ci narravi erano a me note: sono le stesse che ho solcato io in notti oscure con un pesantissimo gommone di pezza. Credo tu sia stata l'unica volta in cui io abbia fatto un passo indietro.
Riconoscevo il tuo essere ferocemente affamato di vita e di adrenalina: un bisogno disperato di sentirti vivo. Ricordo la tua rabbia accesa, testimone di un cuore ferito: una metamorfosi esplosiva e sostenibile di quel dolore implosivo che lacera dentro come un solco pietrificato e sanguinante nelle viscere. Sentivo il sapore dolce della tua gentilezza vera, apprezzavo i tuoi modi gentili: quasi avessi voluto rimediare alla durezza del mondo. Un mondo che avrebbe dovuto avere la stessa delicatezza nel vederti e nell'accoglierti.
Sono tramortita, ma non sono stupita: conosco la mancanza di senso che a volte sembra sigillare l’esistenza. Conosco quel dolore prevaricante che riempie come magma la voragine in petto: sembra che il cuore ti si accartocci, quasi al punto da sentirlo scricchiolare tra le costole, nel centro esatto dell’anima. Conosco la fatica insita nell'affrontarlo in un'alternanza altalenante priva di certezze.
L'empatia nasce dal riconoscersi: dal riconoscere nel prossimo i tuoi stessi riflessi. Non credo che esista una vita immune al dolore: il cammino è irrorato da un’alternanza di luci e ombre che danzano entropiche. Forse non è l'esposizione della sofferenza a renderci vulnerabili: è l'occultarla sentendoci sbagliati e soli. Abbiamo infiniti modi e infiniti mezzi per intrecciare le nostre vite: possiamo partire da quei gesti gentili di cui tu eri maestro. Da un sorriso, per esempio. Passando per la parola e l'ascolto: abbandonando affermazioni che somigliano a taglienti tavole della legge in favore di domande utili per conoscere.
Credo vi sia bisogno di scivolare un po’ più a fondo: oltre gli scintillii argentati come ragnatele di luce a pelo d’acqua.
Ti sei portato via la chiave: ma ci hai lasciato la volontà di comprendere. La volontà di comprendere è apertura.
Forse un senso a tutto questo c'è. Un senso al tuo dolore ed al nostro.
Forse la eco del tuo ultimo grido silenzioso servirà a destarci.
Potremmo così cogliere la semiotica estrema del tuo gesto inaccettabile: affinché altre vite che incontreremo possano essere viste e accolte.
Squarciando di luce gli orizzonti e confondendoci con altri esseri umani.
Con le loro storie da raccontare.
E le loro vite da condividere.
MAdd ❤
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